E.T. ATARI e lo scavo commemorativo
Trent’anni fa c’era un’altra religiosità, c’erano i videogiochi. Divennero talmente popolari, talmente iconici che la gente non ci capiva più niente. Erano indubbiamente altri tempi, di pionieristica scoperta, ma anche anni di estrema creatività limitata soltanto dalle scarse capacità hardware.
Succedeva spesso che i videogiochi fossero prodotti da un unico programmatore che nello spazio di pochi kilobytes riusciva a spremere al massimo tutte le potenzialità della macchina facendo divertire schiere di giocatori per mesi, oppure, che grandi compagnie investissero capitali enormi per immettere sul mercato giochi bruttissimi e assolutamente ingiocabili.
Il fatto era che la gente credeva a tutto, ABBOCCAVA A TUTTO quello che veniva pasturato nel grande oceano videoludico. Tutto era lecito nel mercato dei videogiochi dei primi anni ottanta, ed infatti le conseguenze vennero pagate salatissime con la crisi dell’intero settore e il tracollo di molte software house e aziende rinomate tra cui ATARI.
Questo articolo è dedicato a tutti quelli che vogliono e DEVONO ricordarsi di quei giorni, e che hanno speso valanghe di monetine e paghette settimanali cercando di battere un record. Beccatevi E.T. Atari.

Steven “Rockerduck” Spielberg con Howard Scott Warshaw, il programmatore che fece L’IGNOBILE conversione del film “E.T.” per Atari 2600
Partiamo dall’inizio. Partiamo dal fatto che, nel 1982, la conversione videoludica del film di E.T. fece talmente schifo che molti la ritennero il COLPO DI GRAZIA al mercato dei videogiochi. Ecco. Partiamo da questo indiscutibile assunto: E.T. Atari è scarso al cubo e su questo non ci piove.
Ingiocabile, a tratti inguardabile. Una delusione, insomma, ma non LA DELUSIONE, ovviamente.
Atari strapagò Steven Spielberg per accaparrarsi i diritti di conversione, si parla di circa 22 milioni di dollari, una cifra astronomica per quei tempi. E per riuscire a non padellare l’uscita sul mercato per il Natale dell’82, dette 5 settimane di tempo ad Howard Scott Warshaw, già programmatore di quel GIOCONE che era stato Riders Of The Lost Ark e lecchino fantasmagorico per quella storia di Yars’ Revenge, per programmare qualsiasi cosa che fosse anche solo lontanamente ispirata all’alieno telefonista.
A rincarare l’aura micidiale della sfiga, Atari, in un lampo di lungimiranza, produsse 4 milioni e mezzo di cartucce, non sia mai che qualcuno rimanga senza, ma alla fine della fiera riuscì a piazzarne solo un milione a causa della bassa qualità del gioco e del fatto che gli altri tre milioni e mezzo le ritornarono sul groppone, scagliati indietro con violenza dai giocatori che le avevano restituite indignati e pretendendo pure il rimborso di 40 paperdollari.
L’intera industria ricominciò a recuperare solo nel 1985, quando Nintendo rilasciò il suo NES che, astutamente, venne commercializzato come un giocattolone, non una console.
E questa, come dicevo prima, è storia. Ora passiamo alla leggenda.
Secondo le dicerie dei maligni, Atari aveva stoccato talmente tante cartucce e console invendute che per smaltirle tutte sarebbe dovuta fallire un’altra volta. Così, durante una notte buia e tempestosa del settembre 1983, dallo stabilimento Atari di El Paso nel Nuovo Messico partì un convoglio di camion anonimi diretto nel deserto, alla piccola cittadina di Almagordo, dove nella locale discarica sarebbe stato smaltito (illegalmente) tutto l’invenduto sotto una rassicurante colata di calcestruzzo.
Niente di ufficiale, sia chiaro. Solo dicerie, tra cui anche una buona scusa che giustificava parte dell’accaduto come la necessità di sgomberare in tempi brevi l’immobile di El Paso perché venduto e convertito ad altro uso.

Ora basta Nolan, te l’ho già detto che non c’è niente!
Questo trent’anni fa, dicevo.
OGGI, anno domini 2013, l’amministrazione della città di Alamogordo ha concesso a una società cinematografica canadese, la Fuel Industries, il permesso di realizzare scavi nell’area dove sarebbero stati sepolti i videogiochi. L’intento è quello di filmare il tutto e farne un documentario. Il permesso durerà 6 mesi e si presume che gli scavi inizieranno a settembre.
Ovviamente, da questa brillante mossa, l’amministrazione spera di ricavarne un discreto ritorno pubblicitario e diventare una cittadina tipo Roswell, ovvero, un posto dove tutti dicono di aver visto qualcosa ma nessuno sa esattamente cosa, ma intanto: venghino siori, venghino a comprare la t-shirt con l’ufetto.
Un certo Joe Lewandowski, che al tempo gestiva la società che si occupava della spazzatura, ha dichiarato al Papersera…No, scusate, al “Daily News Alamogordo”, che lui sa dove sono stati sepolti i giochi. Di conseguenza il sito è da controllare e lì verrà realizzato il documentario. Il tutto durante il 30° anniversario del rilascio del famigerato gioco.
Ma ora spazio ai Ggiovani Whintergreen che vanno a cercare le cartucce anche loro:
Bellissima ed affascinante leggenda ma per mè è sempre stata, per l’appunto, una leggenda. Ben felice di essere smentito, ma anche se fosse dopo 30 anni cosa sperano di trovare ancora? Giusto i gusci delle cartuccie se va bene XD
Ovviamente non è altro che una trovata pubblicitaria per consacrare il mito. Magari quelli di Alamogordo riescono anche a tornare sulla carta geografica e farci 2 soldini. Pero’ devo ammettere che ‘ste cose hanno sempre un certo fascino sui mariuoli vecchi come me 😉
Certo certo, del resto siamo compagni di merende anagraficamente parlando
A chi vuole approfondire la questione delle cartucce sotterrate, consiglio la lettura del recente (e definitivo) libro sulla storia di Atari: http://ataribook.com/book/
Disponibile a 15€ anche sull’iBook store…sono 800 pagine di Bibbia 😉
Ad oggi il sito è irraggiungibile. Il titolo del libro comunque è:
Atari Inc.: Business Is Fun
by Curt Vendel, Marty Goldberg